Senzatetto in aumento in Europa: cosa sta facendo l’Ue per aiutarli?
Si stima che ogni notte quasi 900.000 persone dormano per strada nei Paesi dell’Unione europea.
Si stima che ogni notte quasi 900.000 persone dormano per strada nei Paesi dell’Unione europea. Un numero equivalente alla popolazione di città come Torino o Marsiglia. Ma questa è solo la punta dell’iceberg. Si pensa che molti altri senzatetto vivano in alloggi temporanei.
Secondo i dati nazionali, nell’ultimo decennio il fenomeno dei senzatetto in Spagna è aumentato del 25%. Queste statistiche hanno spinto a ripensare a come affrontare questa forma estrema di esclusione sociale. La soluzione proposta è semplice: dare una casa a tutte le persone che vivono per strada. Madrid ha adottato un approccio innovativo per aiutare i senzatetto a trasformare la loro vita.
Dopo il fallimento del suo matrimonio, Carlos ha vissuto per diversi anni in condizioni precarie. Oggi ha un appartamento tutto suo alla periferia di Madrid grazie a questo approccio, noto come Housing First.
“L’appartamento ha cambiato la mia vita in tutti i sensi – dice Carlos a Euronews -. Mi dà tranquillità. Quando si vive per strada mancano tante cose. Ora posso cucinare. Non devi trovare un modo per lavare i vestiti, ora posso farlo e uscire con la tranquillità di avere un tetto sopra la testa. Oggi sono molto felice”.
A differenza degli approcci tradizionali, Housing First non richiede che una persona soddisfi determinati criteri, come l’aver smesso di bere o di assumere droghe, prima di ricevere l’assistenza abitativa. L’alloggio è quindi visto come un diritto e non come una ricompensa.
“Questo sistema è molto migliore – dice Carlos -. Gli alberghi e gli ostelli hanno certe regole, logicamente, mentre in una casa puoi fare quello che vuoi. Qui mi trovo molto bene e conduco una vita più o meno normale”. Come Carlos, Rita ha vissuto per diversi anni per strada e nei rifugi. Ma quattro anni e mezzo fa la sua vita è cambiata dopo aver ottenuto un appartamento tutto suo. “Oggi sono libera di fare quello che voglio – dice Rita -. Quando esco per strada la gente mi rispetta. Perché sono una persona, non importa da dove vengo. Oggi sono come una farfalla”.
L’affitto di Rita e Carlos è pagato dall’amministrazione locale. Nonostante il costo per le finanze pubbliche, i sostenitori dell’estensione di Housing First in tutta Europa insistono sul fatto che questo modello è spesso più conveniente a lungo termine rispetto al sistema di accoglienza.
“Housing First è un modello che ha già dimostrato di avere successo in tutta Europa in molti progetti pilota, ma non è nemmeno vicino al punto di svolta – dice Arturo Coego, membro di Housing First -. Housing First ha il potenziale per cambiare paradigma, passando dalla gestione del fenomeno dei senzatetto alla sua eliminazione”.
Due organizzazioni no-profit, Provivienda e Hogar Si, gestiscono diverse iniziative Housing First in Spagna, tra cui quella di Madrid. Il progetto, che ad oggi gode di un tasso di occupazione e di mantenimento del 100%, è stato finanziato dal Comune di Madrid attraverso il Fondo sociale europeo.
“I fondi europei vengono utilizzati principalmente per implementare iniziative e soluzioni innovative per i senzatetto – dice Gema Callardo, direttrice di Provivienda -. Vengono anche utilizzati per aumentare lo stock di alloggi sociali a prezzi accessibili. Due soluzioni fondamentali per ridurre il fenomeno dei senzatetto in Spagna”.
Cosa può fare di concreto Bruxelles?
L’Europa si è impegnata a spendere almeno il 25% delle risorse del Fondo sociale europeo Plus per l’inclusione sociale e almeno il 3% per la lotta contro la deprivazione materiale. Anche la Piattaforma europea per la lotta contro la mancanza di una fissa dimora cerca di produrre un cambiamento. Ma di fronte alla carenza di alloggi a prezzi accessibili, all’aumento dell’inflazione e dei flussi migratori, cosa può fare Bruxelles per contrastare l’attuale tendenza? Lo abbiamo chiesto all’ex premier belga Yves Leterme, co-presidente della piattaforma.
“La sfida deve essere affrontata a livello locale. Ma penso che, se l’Europa vuole avere una dimensione sociale, dovremmo includere questioni come questa – dice Leterme -. Vogliamo concordare come monitorare gli sviluppi per poter affrontare il problema in modo ottimale. Vogliamo avere uno scambio, una piattaforma di scambio, di buone pratiche e di apprendimento reciproco a livello europeo”.
“L’Europa sta mettendo sul tavolo centinaia di miliardi di euro per rilanciare l’economia – sottolinea Leterme -. Pensiamo che una piccola parte di quel denaro dovrebbe essere utilizzata anche per affrontare questa forma estrema di esclusione, per rendere le nostre società più inclusive”.
Ma può l’Europa, a un livello più ampio, creare un cambiamento? “Penso di sì, riunendo gli Stati membri e concordando il tipo di strumenti politici da utilizzare sulla base delle esperienze – dice Leterme -. Alcuni Stati membri hanno affrontato il problema con successo, mentre altri sono in ritardo. Serve una convergenza di tutti gli Stati membri su queste buone pratiche per affrontare il problema”.
In Europa c’è la volontà politica di affrontare questo problema di petto? “Credo che ci sia una sorta di slancio, creato anche dalla Commissione europea – dice Leterme -. Molte cose vengono fatte in modo molto diverso a livello locale, comunale, provinciale, regionale e nazionale. Ma ora bisogna unire le forze e fare in modo che tutto questo appartenga al passato. Siamo lontani da una situazione ideale, ma stiamo facendo progressi e sono sicuro che a medio termine potremo fare la differenza”.
, 2024-01-31 13:00:03